C'è ancora bisogno di femminismo. Lo
affermo con la forza di una donna cattolica che ha praticato una IVG
per scelta egoistica, ma che la rifarebbe se si trovasse nuovamente
nelle medesime condizioni. Con la forza di chi ne ha conosciuta
un'altra, due giorni fa, nei corridoi della clinica ostetrica
Mangiagalli di Milano in cerca di una IVG non concessa dal suo
consultorio. La giovane, la chiamerò Maria, madre già di due
figlioli, disoccupata, sposata ad un uomo ai domiciliari, in quel
momento aveva superato di poco il termine legale. Le era stato
consigliato di rivolgersi al SVS/D (Soccorso Violenze
Sessuali/Domestiche) e non ne capiva il motivo. Le chiedo subito se
la gravidanza fosse frutto di violenza. Nega con forza: Sono sposata
ad un uomo che amo e che mi ama, con cui faccio l'amore! Al che
commento: Strano! Per rientrare nei requisiti previsti dalla 104, esprimo il dubbio allora che possano stilare certificati
fasulli.
Eravamo perplesse. Allarmata dalla irregolarità delle ultime due mestruazioni, mi racconta di
essere stata entro i termini dalla sua ginecologa del consultorio per
un controllo. Mi riferisce che la dottoressa ha affermato di essere
in grado di percepire una gravidanza al solo palpare. Le nostre facce
si guardano, incredule. Maria sembra non mentire. Segue il consiglio
della ginecologa palpatrice di rivolgersi al CPS. Maria si accorge di
dove sia stata inviata solo nel momento in cui vi mette piede,
circondata dai pazzi. Maria dice: Ma io non sono pazza! Devo solo
abortire! Fugge. Arriva Pasqua. Lei è incinta. Tutti fermi. Passano
i termini.
Se non fosse che l'avevo lì davanti ai
miei occhi, mi sarei detta all'interno di un episodio della serie AI CONFINI DELLA REALTA'. A prescindere dal facile quanto tristo
sillogismo (sei disoccupata, sposata ad un disoccupato, madre di due
figli, rimani incinta del terzo, allora sei pazza e ti meriti il
CPS), c'è da chiedersi perché:
- la ginecologa del consultorio si definisca “capace di capire se una donna è incinta anche solo toccandola”
- la stessa, invece di prescriverle l'esame di rito per l'indagine ospedaliera della gravidanza, la invii al CPS (forse perché all'art. 13 della 194 si può leggere: “Se la donna è interdetta per infermità di mente...”?)
- si ritrovasse al SVS/D della Mangiagalli, pur non avendo subito violenza.
Sono domande retoriche, piene di sarcasmo.
Il giorno seguente la incrocio ancora
per caso nello stesso corridoio, sorridente. Le dico: Ce l'hai fatta?
Lei dice: Sì, ce l'ho fatta! Non fa in tempo a spiegarmi come, perché sparisce in un camerone. Le sorrido,
augurandole col cuore i migliori auguri.
Ci sono ragazze, oggi tra il 15 e i 25,
che affermano quanto sia inutile essere ancora femminista. Rivolgo a
loro il mio appello. Essere femminista non è essere in competizione
col maschio. Nemmeno pretendere di essere uguali. Neppure essere una
virago acida, abbigliata da camionista, aspirante o frequentatrice
dei lidi dell'isola di Lesbo.
Essere femminista oggi significa lottare contro la mercificazione dei corpi, non solo i nostri!
Significa
portare in fronte la parola DONNA con tutto l'orgoglio che ci deriva
dall'essere differenti dagli uomini, nella nostra complementarità!
Significa valutare, o ri-valutare, il
concetto di CURA che ci caratterizza in quanto femmine per porre
rimedi a quello maschile di ROTTAMAZIONE!
Significa lottare contro il fenomeno
del Soffitto di Cristallo, ovvero il Glass Cieling, che impedisce
alle donne, a parità di ruolo, di percepire lo stesso stipendio dei
colleghi uomini!
Significa mantenere alta l'attenzione
sui risultati delle lotte condotte dalle nostre zie, mamme, sorelle
nei 70, come il diritto al divorzio e all'aborto, perché non vi
siano regressioni medioevali!
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